A 100 anni dalla nascita e a 40 dalla morte, lo
scrittore sarebbe stato al centro della Fiera di Bologna con l’idea di
farlo riemergere da cliché riduttivi e sminuenti. A colloquio con Pino
Boero
Gianni Rodari
da Avvenire
Sarebbe stato festeggiato alla Fiera del Libro per ragazzi di
Bologna, e non solo, perché questo 2020 con tre anniversari pieni a lui
era dedicato. A cento anni dalla nascita, a cinquanta dall’assegnazione
del prestigioso Premio Andersen e a quaranta dalla morte, per ricordare
Gianni Rodari ci sarebbero stati convegni, letture, spettacoli, mostre,
concorsi e premiazioni. Incontri ora con tanti punti interrogativi per
riportare in primo piano, e in qualche modo risarcirlo, un autore
variegato, troppo a lungo collocato con superficialità al- l’interno di
una letteratura considerata di serie B.
Dentro quello stereotipo di bizzarro e divertente autore di
filastrocche e di favole moderne per bambini, che certo non lo
rappresentava in toto, anche se in questo ambito ha dato il meglio di
sé. Rodari era molto di più. «Un intellettuale raffinato e completo, a
tutto tondo, che ha vissuto i rivolgimenti, le crisi e le speranze del
secolo scorso, prodotto testi per bambini, ma che in virtù del mestiere
di giornalista ha scritto brillantemente di temi di politica e di
problemi sociali, di attualità, di scuola e pedagogia, di letteratura,
filosofia e di arte».
Uno sperimentatore con la passione per la la parola e la scrittura.
Pino Boero, già docente di Letteratura per l’infanzia e Pedagogia
all’Università di Genova, da una vita appassionato studioso di Rodari (è
in uscita per Einaudi Ragazzi una nuova edizione del suo Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari)
ne racconta il bagaglio culturale di tutto rispetto, le letture
formative, la lezione illuminante del surrealismo francese, la
sensibilità artistica, il carattere schivo e riservato, persino
tormentato ma non privo di entusiasmo. E ancora la convergenza
dell’impegno civile e del pensiero libero con la scrittura per bambini
in una visione di rinnovamento sociale in cui non sono estranee le voci
dell’infanzia. Quelle che devono tornare al centro dell’attenzione degli
adulti. «È la chiave di lettura delle sue favole e filastrocche –
spiega Boero – il bambino al centro da guardare non più dall’alto al
basso ma da osservare al suo stesso livello con uno sguardo rispettoso e
ascoltare con quell’orecchio acerbo proprio come racconta il vecchio
signore, protagonista della nota poesia che ha mantenuto un orecchio
bambino per capire le voci che i grandi non stanno mai a sentire e
capire anche i bambini quando dicono cose che a un orecchio maturo
sembrano misteriose».
I temi della centralità dell’infanzia e dell’immaginazione, del
rispetto per l’altro e per ogni diversità, della partecipazione
solidale, della libertà dai pregiudizi coniugati a una scrittura ironica
e lieve attraversano tutte le raccolte di Rodari, dalle Favole al telefono a Filastrocche in cielo e in terra a La torta in cielo,
per citare solo le più note, «dove non c’è mai una morale a priori da
mettere in rima o trasformare in storia – continua Pino Boero – ma dove
accanto alla vita vera che irrompe nel mondo della fantasia sempre
traspaiono la tensione civile, la sensibilità e la tolleranza di chi
considera la parola uno strumento di libertà e democrazia e l’arte con
il suo linguaggio universale un ponte tra culture diverse».
Ma dove nulla è mai casuale o occasionale. I bambini sono il suo
pubblico, per loro porta la vita vera dentro la poesia; spesso li
incontra e li coinvolge come succede con La torta in cielo, nata
dalla collaborazione con la classe della maestra Maria Luisa Bigiaretti
nella scuola della borgata romana del Trullo. Maestro lui stesso per un
breve periodo in gioventù, formato dalla militanza nel Movimento di
cooperazione educativa di Celestino Freinet, sulla scia di Mario Lodi e
Bruno Ciari, Rodari crede alla serissima scuola del fare e della
partecipazione, non autoritaria, liberata dal tema prescrittivo e dalla
rigidità della valutazione, piena di testi prodotti sul lavoro fatto
insieme. La scuola seria dove si impara dagli errori e perché c’è una
comunità che lavora sodo, legge tanto, fa ricerca e conta sull’esercizio
della creatività come strumento di democrazia. La scuola in cui ci si
educa alla vita e più ancora alla passione per la vita e la verità. Dove
bisogna imparare a fare le cose difficili. «È difficile fare cose
difficili: – ammoniva – parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco,
cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi».
Punto fermo, sintesi delle sue riflessioni sui meccanismi
dell’invenzione fantastica, sull’arte di inventare storie, sulle regole
del processo creativo, binomio fantastico di due parole solo
apparentemente alternative «La Grammatica della fantasia –
conclude Boero – è il segno della cultura alta di Rodari, della sua
capacità di consegnarci, con l’unica preoccupazione che non venisse
trasformata in un banale ricettario, un Artusi delle favole, una lezione
di grande profondità attraverso un linguaggio semplice fondato sul
valore liberatorio dalla parola». «Tutti gli usi della parola a tutti –
scriveva Rodari – mi sembra un bel motto, dal bel suono democratico. Non
perché tutti siamo artisti, ma perché nessuno sia schiavo».
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